Trasporti: prevenire la domanda per fare a meno di nuove infrastrutture costose e distruttive dell’ambiente
Di solito, quando si affronta il tema dei trasporti, anche da parte degli ambientalisti, si prescinde da un’analisi attenta della domanda di mobilità delle merci e delle persone, delle sue caratteristiche e motivazioni.
Così non ci si sottrae al cortocircuito per cui più infrastrutture viabilistiche, secondo alcuni, rendendo più scorrevole il traffico, ridurrebbero le emissioni, mentre, secondo altri, incentivando ulteriormente il traffico le aumenterebbero.
Ciò che di fatto constatiamo da alcuni anni a questa parte è che più si costruiscono strade ed autostrade più queste si congestionano e si intasano di veicoli. Un meccanismo che si mangia la coda.
Ridurre il fabbisogno di mobilità
Sembra, a questo punto, non più rinviabile il tema della prevenzione e riduzione del traffico, il contenimento del fabbisogno di mobilità. Del resto non vi è altra strada se si vogliono ridurre le emissioni serra e i consumi energetici, come la crisi ecologica in cui ci troviamo ci impone (surriscaldamento climatico ed esaurimento dei combustibili fossili).
Purtroppo coloro che dovrebbero programmare le infrastrutture viabilistiche e la trasportistica prescindono totalmente da questi vincoli e da questo orizzonte di lungo periodo. Il trasporto, anche quello meno pesante delle idrovie o delle ferrovie, ha comunque un impatto sull’ambiente, diretto o indiretto.
È possibile ridurre la domanda di trasporto ed invertire la tendenza in atto? È possibile e necessario.
Contenere il trasporto merci
Innanzitutto il trasporto merci si può e si deve drasticamente contenere. Verso la fine del secolo scorso, con l’affermarsi della globalizzazione mercantile e l’entrata nel postfordismo e nella produzione just in time, la fabbrica manifatturiera tradizionale si è smembrata e disseminata sul territorio in tanti piccoli centri produttivi, collocati anche a distanze considerevoli, specializzati in singoli componenti: in questo modo le catene di montaggio e di assemblaggio si sono allungate in migliaia di chilometri, come pure i magazzini in gran parte si sono trasferiti sugli autotreni.
Significativo il fatto che nei primi 5 anni del duemila il traffico merci a Brescia è aumentato del 22% di fronte ad una produzione industriale sostanzialmente stagnante. Questo modello produttivo si è imposto sulla base di convenienze puramente economiche (basso costo della manodopera, disarticolazione della forza sindacale, specializzazione locale, concorrenza al ribasso dei subfornitori, costi contenuti dei trasporti…).
Ma è proprio quest’ultimo aspetto che potrebbe presto venir meno. Il costo trasportistico non può che aumentare sia in relazione al prevedibile impennarsi del prezzo del petrolio, sia perché le attuali esternalizzazioni (emissioni serra ed inquinanti; occupazione di territorio naturalizzato…) non sono compatibili con la crisi ecologica in atto e questi costi attualmente a carico della collettività, prima o poi, dovranno essere caricati sui trasporti stessi.
Quindi, una visione davvero strategica di politica industriale, ma anche di programmazione aziendale, invece che chiedere nuove autostrade probabilmente fra qualche anno “inutilizzabili”, dovrebbe operare sul piano della ricerca per preparasi alla necessaria inversione di rotta e al graduale rientro dall’attuale modello ecologicamente insostenibile della global production.
Tutto ciò risulta ancor più vero per il settore agricolo dove il ritorno alla produzione ed al consumo locale e quindi all’accorciamento della catena distributiva, oltre a ridurre notevolmente inutili spostamenti di merci, esalta la qualità, il sapore, la freschezza e la genuinità dei prodotti.
In questo senso vi sono già iniziative importanti anche nel nostro Paese che vedono sempre più impegnate Associazioni di agricoltori e di consumatori.
Parsimonia e saggezza anche negli spostamenti personali
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